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8 Dicembre 2022A cena con due persone amiche ci scambiamo impressioni su una città italiana che abbiamo visitato in età e per ragioni diverse. Un amico ci è andato da bambino, con i propri genitori e ricorda lo stupore; l’altra da giovane adulta, per un colloquio di lavoro e ricorda la tensione di essere in ritardo; io solo qualche settimana fa, per far visita a una persona cara lontana da tempo.
Le nostre descrizioni della stessa città sono così differenti che chiunque altro, ascoltandoci, non potrebbe immaginare si tratti dello stesso luogo. Perché, in effetti, a questo tavolo non c’è il luogo ma la sua rappresentazione filtrata da ognuno di noi: chi sceglieva le strade meno battute per recuperare qualche minuto; chi temeva di non riuscire a trattenere la pipì e di rompere un raro momento di serenità familiare; chi si concedeva un passo lento e orientato dai profumi primaverili. Tutto questo c’è stato ed è ancora presente nell’impressione complessiva sulla città. Non avrebbe nessuna utilità perseguire un accordo o provare a stabilire chi abbia visto la “vera” Bologna. Né varrebbe a nulla recuperare foto a riprova della propria visione: è l’occhio di chi fotografa che sceglie cosa inquadrare e lo fa già guidato da una premessa e aspettativa di coerenza con ciò che immagina. La foto somiglia a un segmento di luogo e somiglia alla pre-visione di chi la scatta.
“La mappa non è il territorio”, scriveva nel 1931 Alfred Korzybski. La mappa un po’ somiglia al territorio e un po’ somiglia a chi la disegna. Questo accade tra le persone, ognuna portatrice di una visione-narrazione; ma accade anche nel singolo individuo.
Che sia saggio e conveniente non fidarsi di un’unica immagine il nostro corpo lo sa bene: a nessuno, credo, verrebbe in mente di chiedersi se sia corretta l’immagine retinica sinistra o l’immagine retinica destra. Gregory Bateson parla di visione binoculare, quella data dalla giustapposizione delle due immagini che, proprio perché differenti, ci consentono di percepire la profondità. Nessuna delle due immagini è sbagliata e nessuna delle due immagini è esaustiva.
Come organismo sociale, ogni volta che eleggiamo a verità una sola descrizione di un fenomeno, ci accontentiamo di una comprensione piatta, senza prospettiva perché senza possibilità di differenza. Il torpore che ne segue mi fa pensare al mito di Narciso, il cui nome viene proprio nàrke (sonno, torpore). Sappiamo tutti come vadano a finire le cose per Narciso.
Nella mitologia greca Tiresia diventa veggente dopo aver perso la vista (tra l’altro punito con la cecità per aver creduto in una verità assoluta e oggettiva). Nelle “Metamorfosi” di Ovidio Tiresia predice a Liriope, madre di Narciso, che il figlio potrà aspirare a invecchiare si se non noverit, quindi “se non conoscerà se stesso”. Meglio ancora, se non crederà che il mondo si riduca a un riflesso di sé. Non è il riflesso il problema, per altro ineliminabile ed essenziale alla conoscenza, ma l’equivoco e l’immobilità che ne consegue.
Rinunciamo a osservare solo la nostra immagine e mettiamo accanto le foto e i racconti dei differenti percorsi a Bologna. Arrivati al dolce ognuno conosce la città un po’ più di prima e tutti e tre abbiamo voglia di tornarci il prima possibile insieme.
Irene Iannino
*Psicologa